Se sei un imprenditore italiano tartassato dalle troppe tasse 9 volte su 10 ti sarai di sicuro imbattuto in fiscalisti che ti promettevano di abbattere il carico fiscale della tua impresa con soluzioni pre confezionate del calibro di:
- Holding
- TFM
- Royalty
- Marchio
- Rimborsi chilometrici
- Trust
- Varie ed eventuali
Oggi cerco di spiegarti perché queste misure vengono spesso usate a sproposito e come puoi davvero pagare poche tasse societarie in perfetta legalità e senza dover inutilmente scappare in paesi off-shore.
Andiamo con ordine.
Ora, premesso questo: noi non amiamo assolutamente fare le pulci ad altri professionisti ma purtroppo alcuni dei clienti che vengono da noi lamentando alcune carenze nella gestione, soprattutto in determinati settori, in determinati parti della gestione contabile che vengono a essere trattati con un po’ troppa facilità e questi rilievi vengono fatti da clienti che generalmente dell’argomento non sanno tantissimo perché bene o male un imprenditore si rivolge a un professionista proprio perché lo tuteli gli faccia “dormire sogni tranquilli”.
Facciamo un classico caso di un metodo che viene spesso utilizzato dai professionisti contabili per cercare di portare in abbattimento l’utile quanto più possibile, il TFM, il Trattamento di fine mandato per gli amministratori.
Il compenso amministratore è un ottimo strumento per abbattere l’aliquota, anche se comunque ha anche i suoi limiti perché l’amministratore comunque versare i suoi contributi Inps al momento dell’incasso.
Il trattamento di fine mandato è una quota di denaro messa in accantonamento per quando l’amministratore avrà cessato dal proprio incarico e che la Cassazione ha stabilito dover mantenersi nei limiti della ragionevolezza.
Questo è uno dei talloni d’Achille di molte gestioni contabili.
È l’equivalente del TFR, il trattamento di fine rapporto, però non è fatto per il lavoratore dipendente ma è fatto per un amministratore societario.
Qual è la differenza fra il TFR e il TFM?
Il trattamento di fine rapporto è regolato strettamente dalla legge quindi c’è il codice civile che stabilisce chiaramente quali devono essere i limiti, mentre, nel caso del TFM, tale ammontare è di libera scelta e può anche esulare da quelle che sono le regole di condotta del TFR.
Questa libertà, tuttavia, dev’essere mantenuta nei limiti della ragionevolezza.
Naturalmente la ragionevolezza è piuttosto ardua da stabilire perché dipende molto dallo stipendio dell’amministratore, dal carico di mansioni che ha, eccetera, ma questa ragionevolezza di solito è in relazione al 10-15% del valore del compenso dato all’amministratore.
Questo significa che se un imprenditore dá a un amministratore un compenso annuale di 100 mila €, è folle in un anno mettere un accantonamento annuale di 50 mila o di 60 mila solamente per il TFM.
Perché anche se quelle somme vanno ad abbattere il carico imponibile l’Agenzia delle Entrate avrà terreno fertile per un rilievo viene in quanto riterrà che il criterio della ragionevolezza sia stato ampiamente superato.
Detto questo, perché il TFM sia operativo è bene sempre ricordare che ci sono un po’ di attività burocratiche da porre in essere che la legge considera essenziali ai fini della sua validità.
Innanzitutto, il TFM deve essere previsto dallo statuto societario o all’atto della costituzione o, se si vuole aggiungere in un momento successivo, deve essere modificato comunque davanti ad un notaio.
Altra cosa da ricordare: Il TFM deve essere attivato per il tramite di una delibera, la quale dev’essere registrata ed avere data certa.
Come si stabilisce la data certa? Ai bei vecchi tempi si usava la raccomandata con ricevuta di ritorno, oggigiorno si utilizzano le Pec.
Questi passaggi, che molti sembrano ignorare, sono fondamentali per difendere il vostro operato davanti al fisco e se non li ponete in essere per la legge è come se non aveste fatto nulla e quindi tutti quei soldi che avete messo in accantonamento per l’amministratore non saranno considerati deducibili.
Passiamo ad un ultimo argomento ossia le royalties.
Un marchio, nel momento in cui viene registrato da diritto eventualmente a coloro che vogliono darlo in licenza, il diritto a delle royalty per la proprietà intellettuale. Soltanto che c’è un problema. Molti si dimenticano una cosa che è tanto stupida quanto fondamentale. Sarebbe a dire il contratto di licenza.
Il contratto di licenza è il contratto con cui il registratore del marchio cede lo sfruttamento e anche gli eventuali benefici di un marchio registrato in cambio di un determinato compenso.
Tuttavia questi compensi non possono essere astronomici perché ad un marchio non si può dare una valutazione arbitraria. Dev’essere fatta una perizia depositata ed ogni somma superiore al 10% rispetto all’incasso societario dato in royalty è qualcosa che in automatico vi porta davanti all’Agenzia delle Entrate.
Sulla scorta della perizia si deve infatti impostare un pagamento che sia razionale rispetto all’incasso. Se un pagamento non è razionale rispetto all’incasso si va a finire in quella che la Cassazione definisce condotta antieconomica della società. Quando una società pone una condotta antieconomica, (concetto piuttosto lato) la legge dà comunque all’Agenzia delle Entrate un certo margine di discrezionalità nel valutare la vostra posizione e spesso viene considerata come indice di attività contro la legge. È un dato di fatto.
Le royalty vanno fatte quindi con un certo senso della prudenza, e soprattutto devono avere alla base un contratto. Questo contratto deve essere tra colui che ha registrato il marchio e la società o l’ente o la persona che decide di sfruttare il marchio stesso. In mancanza le royalties incassati sono considerati dall’Agenzia delle Entrate come utili occulti.
Tutto vi sembrerà avere più senso se accetterete un semplice concetto: Il fisco è vostro nemico. Ci dispiace dirlo ma lo Stato italiano a livello fiscale è alla canna del gas, ha una tassazione spropositata ed un’evasione pazzesca. Quando questo accade uno Stato qualsiasi ha bisogno di strizzare lo straccio quanto più possibile. Avete presente quando i vigili si appostano da qualche parte in cerca di qualcuno a cui fare la multa? Lo fanno perché devono portare all’erario comunale un incasso, altrimenti molti dei comuni italiani sarebbero ad un passo dal default. Immaginate che il fisco ragioni secondo un’ottica simile però più ad ampio spettro. Lo Stato italiano è alla canna del gas, abbiamo un disavanzo pubblico che è enorme. Per portare avanti la baracca lo Stato italiano ha bisogno di strizzare lo straccio quanto più possibile. Quindi l’Agenzia delle Entrate con tutti i suoi limiti e carenze di organico, quando becca qualcuno deve fare il possibile per incamerare qualche soldo. Ecco perché lasciano le vostre pratiche sulle loro scrivanie, in alcuni casi anche per anni. Cosí possono far crescere la quantità della vostra evasione e piombarvi addosso con sberle da paura in modo che voi, spaventati dall’entità della multa, cercherete un accordo con l’Agenzia delle Entrate per quietanza e stralcio della pratica.
Perché vi parliamo di tutto questo?
Perché abbiamo visto (e molti sono venuti da noi proprio lamentando questo problema), che molti competitor, i cui nomi naturalmente non faremo, portano sempre le stesse soluzioni alle stesse problematiche.
Questa è praticamente la Bibbia dei competitor, sarebbe dire la lista immodificabile delle cose da dire a ciascun cliente, poco importa quello che egli o ella fa nella vita.
Questi modus operandi si concentrano sempre su tre paletti fondamentali:
- le holding,
- il marchio e le royalty,
- i prestiti aziendali.
Questi argomenti possono sembrare di poco conto, ma poi all’atto pratico, hanno un grande riverbero sulle vostre tasche in quanto pagate queste scelte un mare di soldi.
Capiamo benissimo che una persona si rivolge a un professionista proprio per essere rassicurato in questo senso ma ciò non vi esime dallo scegliere con oculatezza.
Torniamo ai tre elementi che ho descritto.
La holding come strumento base.
È il cavallo di battaglia dei nostri “competitor”: qualsiasi cosa facciate, si deve fare con una holding.
Perché? Perché naturalmente ci si basa su un presupposto reale, sarebbe a dire che i passaggi di dividendi tra due società di capitali, di cui una ha in sé le quote dell’altra, viene fatta a praticamente a costo zero.
Costo zero perché? Perché nel pagamento dei dividendi la società holding di riferimento paga il 24% di Ires sul 5% del dividendo. Questa è una legge dell’87, non è stata inventata ultimamente ed è una cosa che si sa da molti anni.
Nel momento in cui la holding riceve il dividendo e una piccolissima percentuale di tasse è stata pagata, il dividendo arriva al netto sul conto corrente della holding. Questo è uno strumento preziosissimo per chiunque fa business di impresa e soprattutto ha una molteplicità di imprese, alcune delle quali magari sparse per il mondo e una sola casa madre nella quale accentrare tutti i dividendi.
Questa strategia è particolarmente vantaggiosa. Soltanto che chi ve la propone, ve la propone come una soluzione prestampata che non è sempre adatta al vostro caso di specie. Mi spiego. La holding è bella, è uno strumento particolarmente efficace, ma non è per tutti.
Non è che se hai un business che vi porta per esempio un €30.000-50.000-70.000 all’anno, avete bisogno della holding per poter fare impresa. Questi non sono fatturati che possono giustificare l’apertura di una holding.
Si deve partire dal presupposto che la tenuta di una serie di società porta via del denaro perché sono presenti più professionisti da pagare, più adempimenti da svolgere, più burocrazia e più rischi. Queste sono cose che non vengono spiegate, ma nel momento in cui voi aprite delle varie strutture societarie idealmente, vi esponete ad un rischio.
Questo rischio dev’essere valutato correttamente.
Stiamo dicendo che la holding non è uno strumento da utilizzare? Assolutamente no.
È uno strumento da utilizzare, però al momento opportuno quando i fatturati, la gestione, la struttura aziendale è tale da giustificarne l’apertura.
Anche perché, amico mio, fatti un calcolo molto basilare. Se apri una società, e di questa apri una holding che detiene le quote della società figlia e riesci a far transitare i dividendi e pagandoci solo l’ 1,2% di tasse…… con la holding così com’è strutturata riesci a mangiare durante la tua vita quotidiana? Perché se non ci riesci devi prendere i tuoi dividendi e portarteli nel tuo patrimonio personale (con imposizione fiscale sui dividendi al 26%).
In definitiva quello che devi stabilire è come portarti i soldi a casa alla fine del mese.
Ci rendiamo conto che è un argomento di una banalità sconcertante, ma purtroppo sono cose che non sono state controllate adeguatamente (soprattutto da tutti quelli che si sono rivolti a competitor).
Uno degli errori cardine riguardo alla holding è quello di aprire una holding pura.
La holding raramente si deve aprire pura.
Si deve aprire pura nel momento in cui si ha una multinazionale sotto di sé ed hai diverse decine di altre aziende distaccate in territori diversi che operano fattivamente e che poi fanno confluire progressivamente i dividendi presso la casa madre la quale è unica e si dedica solo alla distribuzione dei dividendi.
Questo perché quando (dopo aver aperto la holding, fatti transitare i dividendi dalla società figlia alla società madre e pagato il tuo misero 1.2% di tasse) se ti ritrovi con una holding è pura e hai bisogno di fare operazioni straordinarie ed impreviste (mettiamo un investimento) con questo tipo di holding avrete seri problemi. A questo punto per procedere, dovrai portare i soldini nel vostro patrimonio personale e pagare il vostro affezionatissimo 26%. Quindi alla fine avrete fatto tutto questo inutilmente, anzi avete pagato addirittura un 1.2% in più.
Non pensate che la soluzione applicata indiscriminatamente sia per forza quella giusta per voi!!!
Passiamo al secondo elemento il marchio e le royalty.
Naturalmente anche questo è un ottimo strumento e un’ottima possibilità ma, come per le holding, dipende da caso in caso, non va bene in ogni situazione.
Il copione che ti viene propinato è sempre lo stesso: registri il marchio, ti fai dare le royalty sulle quali non paghi niente e ti senti a posto per l’eternità. Benissimo, però c’è da dire una cosa: il marchio per potervi dare delle royalty, (cosa che spesso e volentieri non viene spiegata), bisogna che sia valutato!
Innanzitutto la valutazione costa e non poco. Ma soprattutto una valutazione di un marchio che è stato creato ieri sera, quanto può valere economicamente, molto realisticamente?
Voi direte: “sì, posso trovare il ragioniere, il notaio, il commercialista che fa una valutazione un po’ più di favore, come tale mi porta a valutare il marchio un sacco di soldi“.
Bene qual è la criticità di tutto questo? Innanzitutto se non c’è la valutazione è un problema perché l’Agenzia delle Entrate può benissimo venire da voi e dire: “scusa ma tu come sei arrivato a concepire che ogni mese dovesti avere 5000-10.000 euro dalla tua società come royalty per lo sfruttamento del marchio? Dov’è la valutazione economica del marchio?“
A quel punto una persona dice: “va bene allora io mi faccio fare una bella valutazione del marchio così che posso avere effettivamente un calcolo commerciale adeguato delle mie spettanze“. Il marchio è stato creato ieri sera, che valutazione commerciale puoi avere realisticamente? “Io ho il ragioniere amico mio“. Benissimo.
La prima cosa che fa l’Agenzia delle Entrate è un bel rilievo, va dalla Guardia di Finanza e denuncia il ragioniere che aveva fatto la perizia falsa.
Questo marchio è davvero conosciuto? Davvero tu stai facendo affari? Perché poi si va a fare anche un’ispezione su quelle che sono le attività commerciali di impresa e sui ricavi che l’impresa ha avuto grazie al marchio.
Anche se c’è chi pensa di poter utilizzare questo strumento per svuotare le casse e non pagare mai le tasse aziendali questa è una cosa che non si può fare.
E ricordate che c’è una bella differenza tra osservare le regole e non essere stati beccati a non osservarle.
Potresti anche andare indenni da controlli per vent’anni, soprattutto se i margini sono bassi. Potresti anche non essere mai beccati ma non significa che quello che state facendo sia una cosa lecita.
Altra cosa da valutare è il realismo dello strumento.
Quanto pensate che realisticamente potete dare di royalty?
Anche immaginando che hai tra le mani il marchio della Coca-Cola e magari sei la persona fisica, l’inventore, l’ideatore e il registratore del marchio, dato che la Coca-Cola Corporation ti deve dare tutti i mesi, tutti i semestri, tutti gli anni un bel po’ di quattrini quanto realisticamente pensi di poter staccare per l’utilizzo di un marchio da un incasso generale aziendale?
Perché abbiamo sentito persone che penso di poter staccare il 75-80% degli incassi aziendali per darli al detentore del marchio aziendale come royalty.
Questo è l’equivalente plastico della FOLLIA.
Non esiste nel creato, o meglio non esiste un’Agenzia fiscale che non vi verrà a bussare alla porta il minuto dopo aver fatto una cazzata di questo genere.
In questi casi riuscire a staccare il 5-10%, sarà grasso che cola
Ora passiamo all’ultimo elemento, quello che è il mio favorito. Quello che è il refugium peccatorum. Praticamente la utilizzano tutti: Il prestito aziendale.
Fondamentalmente la società prende dei soldi che ha faticosamente guadagnato, li distacca a un socio il quale un domani li restituirà.
Io ho sentito roba da film dell’orrore. Ho sentito gente che dice: “No beh mi è stato consigliato, ti fai prestare una somma e poi eventualmente gliela restituisci in 10-15-20 anni”.
Ragazzi questi sono follie allo stato puro, io non so come altro descriverle. Il prestito aziendale innanzitutto è malvisto da qualsiasi agenzia delle entrate di questo mondo (anche se resta a tutti gli effetti legale e fattibile in determinate circostanze). Per una semplice ragione: il prestito può essere solo infruttifero, non può essere fruttifero perché se un prestito è fruttifero allora voi state facendo operazione di credito.
Per fare operazioni di credito dovreste essere autorizzati dallo Stato.
Il prestito infruttifero ha un’unica grave pecca, e cioè che va contro lo spirito di qualsiasi azienda.
Perché?
Perché le aziende come enti giuridici hanno un’unica finalità, il profitto.
Non esiste un’azienda che almeno in termini teorici non debba fare profitti.
Sapete quali sono enti che non fanno profitti? Le fondazioni. Sono questi che non fanno profitti perché hanno degli scopi mutualistici, scopi di benevolenza e di carità.
Per le società tradizionali l’obiettivo e l’oggetto sociale è solo fare soldi.
Siccome fare i soldi prevede non soltanto incassare del denaro, ma anche evitare di spenderlo in cose poco ragionevoli, il prestito soci viene subito messo sotto la lente d’ingrandimento dell’Agenzia delle Entrate come un faro.
Soprattutto, nel momento in cui avviene, devi fare un piano di ammortamento e di rientro che dev’essere un piano realistico e a breve termine.
Perché se un’azienda accetta di prestare del denaro in modo infruttifero la prima cosa che l’Agenzia delle entrate vi viene a contestare è: “Ma tu stai prestando dei soldi, privandoti di cassa e liquido per rientrare tra 10 anni degli stessi soldi che hai versato? Quindi sei in colossale perdita“.
Ma poi soprattutto, e questa è una cosa veramente scandalosa, molti di questi soggetti che pagate per consigliarvi, che magari prendono anche tra le mani le redini della contabilità dei propri clienti, operano questi prestiti ma non operano alcun piano di ammortamento, di rientro e non emettono una delibera.
Ragazzi voi sapete che quando prendete qualsiasi decisione aziendale dovreste emettere una delibera?
Se non lo fate e anche bene tutto quello che avete speso per diversi anni saranno solo soldi buttati, quando qualcuno del fisco verrà a bussare alla porta della vostra azienda.
Perché abbiamo citato questi tre elementi particolarmente? Perché le consulenze fatte in questo campo, in questo ambiente, devono essere consulenze mirate, devono essere consulenze ad hoc.
Ecco perché noi non siamo quelli che vi dicono: “sì la holding va bene per tutto, il marchio va bene per tutto, il prestito aziendale va bene su tutto“.
Ci spiace, ragazzi, noi non lavoriamo così.
Noi siamo quelli che dicono che quando create tutta una serie di aziende pensando di veicolare tra di essi dividendi e dividendi, dovete sapere che per ogni azienda che create si presuppone un’attività. Quando questa azienda viene creata e l’attività non viene svolta e non viene fatto assolutamente nulla, e per nulla intendiamo nulla, neanche uno scambio di mail, neanche un inoltro della posta, neanche una telefonata, neanche l’utenza…. quando questo avviene allora ragazzi come volete poter riutilizzare quelle aziende nel mondo reale se laddove voleste chiedere un prestito alla banca per fare un’operazione straordinaria oppure se volete fare degli investimenti sull’azienda.
Noi siamo quelli che vi dicono che anche gli investimenti a volte sono tenuti sotto controllo. Molti, infatti, utilizzano le forme di investimento e soprattutto in alcuni tipi di associazione come mezzo per riciclare del denaro. Naturalmente le autorità questo lo sanno e cercano poi di smantellare progressivamente nei limiti del loro possibile tutte queste cose.
Per queste ragioni ci sentiamo in pace con la nostra coscienza nel momento in cui mettiamo le nostre consulenze ad un prezzo alto.
Sta a voi comprendere il perché.
Questo è quanto.
Adesso, per capire come riuscire davvero a pagare meno tasse aziendali in legalità e con successo, abbiamo realizzato un webinar dove ti mostriamo 3 casi studio in 3 diversi settori. Guardalo qui: https://themoneylawyers.com/masterclass-come-pagare-meno-tasse/
Ma c’è un ma!
Bisogna agire subito, perché, come il detto insegna: “Il momento migliore di agire era ieri e il secondo momento migliore è adesso”.
Questo vale soprattutto per la fiscalità!
Buon business!
Oreste Maria Petrillo e Fabio Santoro, Avvocati Internazionalisti
The Money Lawyers
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STEP 1: Usa la strategia collaudata
Dopo aver lavorato con decine di imprenditori di diversi business, abbiamo scoperto un processo, e lo abbiamo ingegnerizzato, per applicarlo in scala, con le dovute personalizzazioni, per permettere a qualsiasi imprenditore di risparmiare sulle tasse societarie sin da subito.
STEP 2: Automatizza e pianifica
Dopo aver capito qual era la differenza che faceva la reale differenza per aver successo nella pianificazione fiscale, la abbiamo applicata con regolarità e costanza ai business dei nostri clienti.
Siamo sicuri che avrà successo anche col tuo business.
STEP 3: lavoriamo insieme
Oggi hai la possibilità di applicare il nostro sistema ingegnerizzato anche al tuo business, per portare la fiscalità della tua azienda ad un piano internazionale, per non porti più limiti al risparmio fiscale a alla protezione patrimoniale.
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Ti aspettiamo!
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